|  |  | 

Blog Itinerari Latomistici

Alchimia e Manierismo il fascino della Rocca Sanvitale di Fontanellato – Parma

La Rocca Sanvitale, nota anche come Castello di Fontanellato, sorge in piazza Matteotti 1 a Fontanellato, in provincia di Parma ed è un maniero d’epoca medievale eretto nel XIV secolo su un preesistente edificio del XII secolo interamente circondato da un fossato colmo d’acqua risorgiva; il castello si sviluppa su una pianta quadrata attorno a un cortile centrale, con quattro torri angolari, di cui tre cilindriche.

L’originaria fortificazione a difesa del borgo di “Fontana Lata” fu eretta a partire dal 1124 per volere del Marchese Oberto I Pallavicino. A tale periodo viene fatta risalire proprio la costruzione del mastio centrale della Rocca, che serve anche come porta di ingresso, oggi attraverso un ponte di pietra, originariamente attraverso un ponte levatoio.

Nel 1386 le terre di Fontanellato con la relativa Rocca, vennero cedute ai Conti Sanvitale e nel XIV secolo i Visconti si impossessarono della fortezza.

Nel 1404 il duca di Milano Giovanni Maria Visconti innalzò al rango di contea il territorio di Fontanellato ed il castello fu in seguito ampliato e trasformato in elegante dimora nobiliare, ricca di importanti opere d’arte e affreschi; la struttura fu pressoché completata nelle forme attuali nel XVI secolo.

Il maniero subì vari attacchi durante la Guerra dei Rossi e durante la Guerra di Parma.

La facciata principale, interamente rivestita in laterizio come il resto della struttura, è preceduta dal seicentesco ponte in muratura d’accesso, che conduce all’alta torre centrale. Sopra all’ampio portale d’ingresso ad arco a tutto sesto si aprono simmetricamente due portefinestre con balconcino in ferro battuto. In sommità si staglia un grande orologio seicentesco con quadrante interno ed esterno, restaurato nel 1997; l’unica lancetta dorata, arricchita con la raffigurazione centrale del Sole, è collegata a tre campane, che scandiscono il passare del tempo secondo un complesso schema; il quadrante esterno indica le 12 ore con numeri romani, le mezze ore con lance e i quarti d’ore con linee. A coronamento si elevano lungo il perimetro della torre e dell’intero castello merlature ghibelline, in parte coperte da tetti.

Nel 1948 la rocca fu venduta all’amministrazione comunale di Fontanellato, che in seguito ne avviò i lavori di restauro per adibirla a sede municipale e aprire alcune sale al pubblico. Nel 1999 furono resi visitabili altri 11 ambienti restaurati del piano terreno, in seguito allo spostamento degli uffici comunali e degli archivi che vi erano collocati.

Verso la fine del XIX secolo l’ultimo conte Giovanni Sanvitale fece trasformare la torre sud in camera ottica, unica in funzione in Italia, consistente in un raffinato gioco di prismi e specchi che consente, a coloro che si ritrovano al buio dentro la stanza, di osservare ciò che avviene fuori, nella piazza antistante il castello.

All’interno della Rocca è presente ancora intatto l’appartamento nobiliare dei Sanvitale che racchiude dipinto uno dei capolavori del manierismo italiano con il mito di Diana e Atteone: il cosiddetto Boudoir, un vano forse adibito a studiolo, probabilmente a camera per dissertazioni ed incontri di tipo esoterico, fatto dipingere verso il 1524 da Paola Gonzaga, moglie di Galeazzo Sanvitale, affidando l’incarico al celebre Parmigianino (al secolo Girolamo Francesco Mazzola, 1503 – 1540) che realizzò una serie di magnifici affreschi ben noti alla storia dell’arte raffigurando il mito classico del cacciatore Atteone che dopo aver spiato la dea della caccia Diana mentre faceva il bagno nuda, fu trasformato in cervo e quindi sbranato dai suoi stessi cani.

Gli affreschi si compongono di quattro scene:

la Ninfa inseguita dai cacciatori,
l’Atteone mutato in cervo,
l’Atteone sbranato dai cani,
e la Cerere con le spighe.

Ninfa inseguita dai cacciatori

Atteone mutato in cervo

Atteone sbranato dai cani

Cerere con le spighe

L’interpretazione di tali affreschi del Parmigiano ha dato vita nel tempo ad interminabili dibattiti tra critici.

Il mito di Atteone che, per aver sorpreso la dea Diana al bagno, viene da questa trasformato in cervo ed è sbranato dai suoi stessi cani, è stato interpretato come una metafora del processo alchemico, e dell’unione del principio maschile e femminile.

E’ Giorgio Vasari il primo studioso a collegare Parmigianino all’alchimia, in un’accezione per altro totalmente negativa: nella biografia dedicata al pittore, lo descrive come un uomo che, negli ultimi anni di vita, dilapidò denaro, tempo ed energie inseguendo l’illusione di potersi arricchire smisuratamente praticando l’ars alchemica. Non è del tutto chiaro quanto il Parmigianino fosse dedito all’alchimia e quanto l’uso forviato di questa abbia effettivamente contribuito all’ingloriosa fine dell’artista (consumato da una malattia fulminante).

Quando Parmigianino fu ingaggiato per affrescare la piccola stanza, la serenità della famiglia era da poco stata funestata da un tragico evento: pochi mesi prima aveva infatti perso la vita, subito dopo il parto, l’ultimo figlio maschio di Galeazzo e Paola Sanvitale.

Il significato della storia, ribadito anche dalle iscrizioni latine che corrono lungo il fregio, è chiaro, e riguarda la miseria della condizione umana: la sorte avversa può colpire chiunque, in qualsiasi momento, anche chi è privo di colpa, o chi commette involontariamente un errore. E’ il crudele destino che, in maniera totalmente imperscrutabile, sceglie chi può continuare a vivere e chi invece deve morire.

Nell’affresco vi si trova anche questa scritta:

AD DIANAM / DIC DEA SI MISERUM SORS HUC
ACTEONA DUXIT A TE CUR CANIBUS / TRADITUR ESCA SUIS /
NON NISI MORTALES ALIQUO / PRO CRIMINE PENAS
FERRE LICET: TALIS NEC DECET IRA / DEAS.

“A Diana. Dì, o dea, perché, se è la sorte che ha condotto qui il misero Atteone, egli è dato da te in pasto ai suoi cani? Non per altro che per una colpa è lecito che i mortali subiscano una pena: un’ira tale non si addice alle dee”

E’ la metafora della vita a mostrarsi: gli uomini vengono puniti spesso senza una ragione, non perché siano buoni o cattivi, ma perché quello è il loro fato. La metamorfosi di Ovidio ci dà una vera e propria lezione di vita…

Vi è inoltre un particolare dell’affresco che sembra avallare questa ipotesi: un angelo, con occhi spiritati e un’espressione inquietante, che abbraccia il neonato e sembra portarlo via con sé, nell’aldilà.

L’affresco di Diana e Atteone è stato anche interpretato alla luce del presunto interesse di Parmigianino per l’alchimia e le dottrine ermetiche: alcuni studiosi hanno infatti individuato nella figura di Atteone (che è un uomo ma nell’affresco ha sembianze di donna) un simbolo della congiunzione, di unione tra maschile e femminile, che per gli alchimisti si traduce in fusione tra Solfo e Mercurio, cioè tra Sole e Luna.

Nel saggio “La vita e l’arte” di Francesca Marini, contenuto nell’edizione speciale per il Corriere della Sera del volume “Parmigianino”, viene esposto che all’epoca in cui visse il pittore la pratica dell’alchimia costituiva un insieme di saperi scientifici, filosofici, mistico-religiosi, e rientrava a pieno titolo nella ricerca della bellezza assoluta, che in arte si traduceva nel

«raggiungimento di un’idea densa di comunicativa, in base alla quale la forma naturale assume nuovi rapporti di proporzione, non per forza organizzati in base alla percezione visiva, quanto piuttosto ordinati in virtù di un armonia intellettuale e simbolica».

Secondo il mito, a Diana (che gli antichi chiamavano anche Lucina e Proserpina) piaceva particolarmente andare a caccia, facendosi accompagnare da parecchie ninfe. Un giorno, mentre con esse faceva il bagno, fu vista nuda da Atteone il quale fu punito della sua temerarietà, poiché la dea lo mutò in cervo. Allora i suoi cani, che non lo riconobbero, si gettarono su di lui e lo divorarono.

Leggendo il mito in chiave alchemica vi si possono scorgere molti significati che rimandano al processo della Grande Opera e alle sue varie fasi. In particolare è messo in risalto il simbolo della cosiddetta DENUDAZIONE FILOSOFICA. Gli alchimisti e i filosofi ermetici hanno adoperato questo termine per indicare la putrefazione della loro materia, e in tal modo hanno detto: “Oh! FELICE COLUI CHE HA POTUTO VEDERE DIANA TUTTA NUDA!”, ossia la materia purificata da ogni eterogeneità, o sempre la stessa materia filosofica nel regno della Luna, ossia al bianco perfetto (Albedo). Diana che fa il bagno rappresenta quindi l’Acqua mercuriale dei Filosofi che dopo la fase della Nigredo assume il suo aspetto cristallino e poi bianco (Latte di Vergine, Elisir Bianco) non ancora fissato e quindi volatile (le famose COLOMBE DI DIANA).

Altro particolare interessante: Atteone nel mito classico è un uomo, ma nella stanza viene raffigurato come una donna dilaniata dal suo stesso cane (raffigurato con una conchiglia nel collare) come a mostrare che colui che faceva parte di lei, le ha dilaniato il cuore. La conchiglia oltre ad essere il simbolo di maternità (la perla nella conchiglia, la vita nell’utero) e di resurrezione (la perla nella conchiglia, come l’anima nel corpo, nel sarcofago) rappresenta il tempo da dedicare alla riflessione sulla natura dei sentimenti corporei, morali, etici e spirituali; è il simbolo dell’introversione mentale e di temperamento spirituale. E’ anche l’emblema dell’illuminazione, della mente nobilitata, di chi sa come deve procedere. In alchimia sottolinea il valore iniziatico.

Le caratteristiche femminee di Atteone possone essere sempre interpretate secondo il simbolismo alchemico in termini di “materia androgina” e quindi rimandano al REBIS (Androgino, Materia Doppia, Solfo-Mercurio, Nozze Alchemiche, etc.) e alla TRASMUTAZIONE che rappresenta il fine di tutta l’Opera Alchemica e Filosofica.

Osservando gli affreschi, di fronte all’immagine di Diana, con la luna crescente sul capo, sulla parete opposta vediamo Cerere che osserva silenziosa il tragico e ineluttabile destino di Atteone. Nelle mani tiene due spighe di grano.

Sulla parete accanto, a pendant con la coppia di putti sulla parete di fronte, i due bambini – in forma anch’essi di putti alati – si stringono, la bambina più grande sembra coccolare il fratellino morto. Il piccolo porta al collo una collanina di perle e corallo: quest’ultimo è da sempre associato a significati esoterici, come amuleto protettivo ma anche per il suo colore rosso simbolo di vita e di generazione.

Corallo e perla si alternano sulla collanina: vita, morte prematura e rinascita come metamorfosi di un’esistenza percepita prima con i sensi.

Nel fregio superiore, infatti, una schiera di putti tiene fra le mani le melograne, simbolo ancestrale di rinascita, promessa di un incontro tra madre e figlio in una dimensione “altra”. Ecco così che il monito “Respice finem” riportato sulla cornice dello specchio rotondo posto al centro della volta sta a chiosare in maniera puntuale il messaggio finale della complessa iconografia della stanza.

Un’autentica stanza alchemica, dunque. Anche Galeazzo come il Parmigianino era dedito all’alchimia (nel Castello di Fontanellato era stata predisposta appositamente la “Camera alchemica”), e probabilmente l’elaborazione di questi temi è stata frutto di due menti, che hanno ben pensato di “trasformare” (la metamorfosi era il tema dominante dell’alchimia, dato che il principale obiettivo era trasformare il piombo in oro) l’anima mortale del figlio in anima immortale. Attraverso l’arte si tentava alchemicamente di far rivivere il figlio, sensazione avvertibile entrando in questa piccola stanza funeraria.

Chi ha ricercato tracce di simbolismo alchemico nelle opere del Parmigianino si è soffermato soprattutto sul “Ritratto del conte Sanvitale” (1524), sull’affresco ispirato al mito di Atteone a Fontanellato (1524) e sulla decorazione incompiuta della Chiesa di S. Maria della Steccata, affidata al pittore nel 1531.

Bisogna notare, anzitutto, che se si presta fede a Vasari le prime due opere furono eseguite alcuni anni prima che il pittore cominciasse ad interessarsi all’alchimia.

Il ritratto Sanvitale – Comunque, ad attirare l’attenzione generale di quanti hanno cercato i segni del simbolismo alchemico anche nelle opere precedenti gli anni dell’interesse alchemico del Parmigianino è stato soprattutto il numero 72 raffigurato nel medaglione posto nella mano destra del conte Sanvitale. Per Fagiolo Dell’Arco esso avrebbe un chiaro significato ermetico, poiché – in base alle corrispondenze numeri/pianeti/metalli – il 2 corrisponde a Giove e il 7 alla Luna, il che equivarrebbe ad una coniunctio (la congiunzione tra gli opposti è uno dei capisaldi delle pratiche alchemiche).

Ma l’autentica congiunzione di cui parlano gli alchimisti è quella tra Re e Regina, tra principio maschile e femminile, ossia tra Solfo e Mercurio, simbolicamente raffigurato in tutta l’iconografia alchemica come unione tra Sole e Luna, e non tra Giove e Luna. D’altro canto, le corrispondenze tra numeri e pianeti variava quasi da autore ad autore di alchimia. E infatti per Van Lennep, che evidentemente attinge a fonte diversa da Fagiolo dell’Arco, il 7 è il numero di Saturno e il 2 quello di Giove. Per C. Mutti addirittura il 72 corrisponde all’unità nel tutto. Se proprio avesse senso cercare un significato al 72 in chiave di simbolismo alchemico, si dovrebbe dire più semplicemente che il 7 è il numero dei metalli e dei pianeti e che 2 è il numero dei due princìpi costituitivi della materia metallica al tempo del Parmigianino (Solfo e Mercurio, poiché il terzo principio, come già detto, fu introdotto solo da Paracelso).

 

ORARI APERTURA MUSEO
DAL 1 NOVEMBRE AL 31 MARZO
Dal martedì al sabato 10.00-11.45* e 15.00-16.45* (visite ore 10.30-11.45-15.30-16.45)
domenica e festivi 9.30-11.45* e 14.30-16.45*

DAL 1 APRILE AL 31 OTTOBRE
Dal lunedì al sabato 9.30-11.45* e 15.00-17.45*
Domenica e festivi 9.30-11.45* e 14.30-17.45*

*inizio ultima visita guidata
Visite guidate.
Prenotazione obbligatoria per i gruppi.

ORARI APERTURA IAT
DAL 1 NOVEMBRE AL 31 MARZO
dal martedì al sabato 9.30-11.45* e 15.00-16.45* (visite ore 10.30-11.45-15.30-16.45);
domenica e festivi 9.30-11.45* e 14.30-16.45*

DAL 1 APRILE AL 31 OTTOBRE
dal lunedì al sabato 9.30-11.45* e 15.00-17.45*(visite ore 10.30-11.45-15.30-16.45-17.45)
domenica e festivi 9.30-11.45* e 14.30-17.45*

INGRESSI

Percorso completo: (sale arredate, camera ottica, stanze affrescate a piano terra con affresco del Parmigianino, sala dello Stendardo)
Adulti: Euro 8,00
Ragazzi (dai 6 ai 16 anni): Euro 3,50
Gruppi (min. 20 persone): Euro 6,50

Scolaresche: Euro 5,50
Ridotto Card del Ducato, Soci F.A.I. T.C.I Art’é e PleinAir: Euro 7,00

Percorso parziale: (stanze affrescate a piano terra con affresco del Parmigianino e camera ottica)
Adulti: Euro 4,00
Ragazzi (dai 6 ai 16 anni): Euro 2,50
Gruppi (min. 20 persone): Euro 3,50

Scolaresche: Euro 3,00
Ridotto Card del Ducato, Soci F.A.I. T.C.I Art’é e PleinAir : Euro 3,00

 

Gran Maestro

Il Ser.·.mo Fr.·. Domenico Vittorio Ripa Montesano.·. è nato in un'antica Famiglia con ininterrotti Tramandi Iniziatici e Massonici, giunti alla quarta generazione. Iniziato all’Arte Reale in giovanissima età, ha ricoperto ruoli apicali nell’Istituzione rivestendo prestigiosi crescenti incarichi, che lo hanno portato oltre un decennio fa a giungere al Grande Magistero. Attivo in numerosi Cenacoli Iniziatici Nazionali ed Internazionali, con l’unanime supporto dei Fratelli, Governa dalla sua Fondazione la Gran Loggia Phoenix degli A.·.L.·.A.·.M.·. Scrittore, Saggista e relatore in numerosi convegni nazionali, è autore di molteplici pubblicazioni e studi esegetici sui Rituali della Massoneria degli A.·.L.·.A.·.M.·. . Cura la Collana "Quaderni di Loggia" per la Casa Editrice Gran Loggia Phoenix® da lui Diretta.

Facta non Verba

"FACTA NON VERBA" è la Divisa* della Gran Loggia Phoenix degli A.·.L.·.A.·.M.·. ed esprime sintetizzandolo un aspetto fondamentale della Nostra Filosofia di Vita, che diviene un abito mentale da riverberare positivamente anche una volta usciti fuori dalle Colonne.


* E’ il Motto tracciato su un cartiglio. Nel Nostro Stemma Araldico in lettere Azzurre su nastro d’Oro, incorniciato e sorretto da due rami di Acacia. Esprime in maniera allegorica pensieri o sentenze, definite anche imprese araldiche. Nella Tradizione dell’aspilogia sono costituite di corpo (figura) e anima (parole).